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Tasse universitarie alte per creare vera competizione

 

Professor Gravagnuolo, in funzione della sua esperienza di docente e poi di preside delle facoltà di architettura di Napoli quali nuove tematiche sono state introdotte nei percorsi formativi della facoltà di architettura nel recente passato? Soprattutto per porre il progetto sempre più al centro della formazione.

Per un lungo periodo le facoltà di architettura sono state strutturate sul modello di formazione voluto da Gustavo Giovannoni. L'architetto era inteso in senso neovitruviano come colui che possedeva molte conoscenze e doveva avere una formazione unica, ma composta da differenti orientamenti che non si configuravano come veri e propri corsi di laurea.

Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta ci sono stati i primi tentativi di cambiare questa struttura: Venezia ha introdotto il corso di laurea in "Conservazione dei beni culturali", Reggio Calabria quello di "Pianificazione territoriale". Napoli, in linea con l'orientamento nazionale, ha mantenuto il corso di laurea quinquennale che, stando alle direttive dell'Unione Europea, prepara a competenze più ampie. Ma gli ha affiancato un modello parallelo che prevede un triennio unico, chiamato Scienze dell'architettura, e poi uscite biennali in progettazione architettonica, restauro, progettazione urbana, design e tecnica della gestione urbana. Inoltre è stato creato un corso di planning 3+2 in una classe specifica, distinto dal biennio in progettazione urbana.

In conclusione noi a Napoli, a differenza di altre facoltà italiane che hanno optato solo per il modello 3+2, abbiamo tenuto in piedi le due possibilità. 
 
 

Le tante riforme universitarie che si sono succedute e, in particolare, gli ultimi provvedimenti in corso di definizione come incidono sulla definizione della figura professionale dell'architetto?

Hanno inciso negativamente e in maniera confusa, c'è stato un accanimento legislativo degno di miglior causa. Noi siamo ora in uno stato confusionale dovuto ad una serie di piccoli decreti che sono intervenuti su singoli aspetti. Le università sono sottoposte ad un continuo adeguamento a normative imposte dai ministeri che però non hanno la forza che ebbe la riforma Gentile durata 70 anni. Personalmente mi aspetterei un riordino globale del sistema universitario, una legge quadro che affronti contestualmente tutti i problemi. Fino a quel momento noi continueremo a copiare male dagli americani, come è stato fatto con l'introduzione del sistema di crediti, sbandierato come la panacea dell'università che però non ha portato i risultati previsti.
 
 

La facoltà di architettura di Napoli come affronta lo spinoso tema dell'inserimento nel mondo del lavoro degli studenti?

Vorrei rispondere con un principio di verità e senza ipocrisia. Abbiamo in Italia un numero di architetti assolutamente abnorme, più degli Stati Uniti. Se dovessi applicare dei metodi di indagine di mercato, per programmare l'immatricolazione alla Federico II dovrei chiudere la facoltà per i prossimi cinquant'anni, il che ovviamente non è ragionevole. Perché se è vero che il numero di architetti è esuberante, è anche vero che abbiamo una facoltà con una fortissima duttilità nel contemplare molte discipline e i nostri laureati hanno possibilità di trovare occupazione in molti campi e ruoli.

Alla Federico II abbiamo formato allievi che hanno trovato il successo a Londra, a Barcellona, a Dubai perché abbiamo un livello di formazione elevato che ci viene riconosciuto anche all'estero, ma in Campania non abbiamo una domanda, nella committenza privata e in quella pubblica. Per questo motivo ogni anno programmiamo il numero di matricole a circa 750 a fronte delle 1500 domande di ammissione. Ritengo che il nostro compito finisca nel momento in cui abbiamo formato l'architetto. La fase post-laurea è un enigma ma certamente sarebbe irresponsabile dire che c'è una grande domanda di architetti in Campania.
 
 

Una forma di concorrenza delle Università, sotto il controllo del ministero dell'istruzione che avrebbe il compito di "accreditare, valutare, incentivare e soprattutto garantire il rispetto degli standard qualitativi" degli atenei, stimolerebbe la qualità del sistema universitario o lo impoverirebbe?

Credo che sia opportuno usare dei parametri di valutazione. La riflessione non deve essere sul "se" valutare ma sul "come", ossia sulle regole del gioco della valutazione. Se, ad esempio, adopero il parametro della possibilità per gli allievi di trovare lavoro velocemente dopo la laurea allora tutte le università del sud sono automaticamente svantaggiate. E ancora, se adotto come parametro l'età media dei docenti allora tutte le università storiche sono svantaggiate rispetto ad una di più recente formazione.

La mia personale proposta è aumentare le tasse universitarie, in questo modo la vera competizione diventerebbe la scelta.  Si potrebbe verificare la possibilità che lo studente, pur sapendo di pagare il doppio delle tasse rispetto ad altre facoltà, scelga comunque di iscriversi alla Federico II pretendendo di ricevere il meglio dai servizi e dai docenti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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