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Concretezza e apertura per rinnovare la leadership

 
Questa intervista è stata pubblicata sul Focus di Aprile 2010

 

Professor Carnevale, in funzione della sua esperienza di docente e poi di preside delle facoltà di architettura di Venezia quali nuove tematiche sono state introdotte recentemente nei percorsi formativi?

Stiamo attuando un cambiamento profondo nella didattica, portando al suo interno i temi della trasformazione in atto nella società e sul territorio, dalla sostenibilità alla pianificazione strategica. Inoltre sviluppiamo partenariati con aziende o enti pubblici per aprire la didattica a temi di concreta applicazione. Questa è una trasformazione lenta che negli ultimi cinque anni ha modificato i metodi di insegnamento. Solo dieci anni fa c'era il rischio di un'autoreferenzialità della didattica, oggi l'esigenza di concretezza e di qualità propone un nuovo modello di autorevolezza del sistema universitario che deve dare risposte ai problemi reali. 
 
 

Le numerose riforme universitarie che si sono succedute e, in particolare, gli ultimi provvedimenti in corso di definizione come incidono sulla costruzione della figura professionale dell'architetto?

Penso che questa riforma abbia un aspetto tecnico condivisibile: mira a ridurre un'offerta formativa sicuramente ridondante. In Italia abbiamo quarantotto scuole di architettura, delle quali ventisette sono le facoltà di architettura e ventuno quelle di ingegneria edile e architettura. Un numero assolutamente sproporzionato e ingiustificato, ben venga una norma che costringa a standard quantitativi. Però, sempre sul piano tecnico, trovo ingiustificata la sottrazione di risorse economiche all'università pubblica che ha come primo effetto l'impossibilità di sostituire i docenti che vanno in pensione. È come se ci fosse un disegno che mira all'università privata: potrebbe anche essere positivo, ma non si può lavorare impedendo il rinnovo del corpo docenti. La competizione tra le facoltà in questo modo si inasprisce, quelle più prestigiose, come la nostra, si salvano e le altre cercano nuove strategie come quella dei consorzi, delle federazioni, dei consigli staccati. 
 
 

Lo Iuav ha un ruolo storico di leadership culturale nel panorama delle scuole di architettura italiane. In quale forma questa funzione è ancora presente?

La facoltà di Venezia ha una leadership indiscussa anche a livello europeo. C'è chi sostiene che è un'inerzia storica, siamo cioè il riflesso di una luce che si è spenta ma che continua a essere percepita all'esterno. Ma dal confronto con i colleghi di altri atenei posso affermare che è un'autorevolezza riconosciuta. Nella percezione generale Venezia è un patrimonio collettivo della cultura architettonica italiana sia per i docenti che l'hanno caratterizzata - da Samonà a Tafuri - sia per la qualità della didattica, effetto di un'organizzazione amministrativa che credo sia unica nel panorama delle facoltà di architettura

La collocazione geografica di Venezia consente numerosi scambi con paesi comunitari. Da otto anni sperimentiamo i workshop estivi che vedono impegnati per tre settimane  tutti gli studenti del triennio suddivisi in trenta diversi atelier tenuti da altrettanti docenti provenienti da tutto il mondo. Questa esperienza è poco nota, ma di rilievo internazionale: curiamo  questo aspetto perché Venezia è ancora la porta d'Oriente.
 
 

Come si potrebbero coinvolgere maggiormente sia gli studenti sia il corpo docente rispetto alle problematiche dell'inserimento lavorativo?

Cerchiamo di attrarre  risorse con una strategia al tempo stesso di qualità e politica. Siamo al servizio del territorio, partecipiamo al dibattito sui grandi temi del cambiamento del Veneto e questo ci permette di portare nella didattica temi correlati alla professione e quindi di formare tecnici in grado di inserirsi nel mercato del lavoro. Una strategia che sta portando i suoi frutti e ci sta facendo guadagnare credibilità all'esterno. Su questo terreno si gioca il futuro professionale dei nostri laureati.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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