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La sfida delle rinnovabili coinvolge gli architetti

 

In questi anni in Italia l'industria dell'energia rinnovabile, soprattutto fotovoltaica ed eolica, ha vissuto un'accelerazione. Ma le installazioni pongono problemi di armonizzazione con il paesaggio.

Credo che al ragionamento vada aggiunto anche tutto quanto riguarda le biomasse, che stanno trasformando il paesaggio italiano. Siamo di fronte a un problema in primo luogo culturale, perché il paesaggio italiano è vulnerabile, è il paesaggio per eccellenza a livello europeo e richiede linee guida per decidere come modificarlo. Il paesaggio è lo specchio della società, riflette quello che essa produce e come vive il territorio, soprattutto in Italia dove ampie porzioni nei secoli sono state faticosamente recuperate alla natura attraverso la bonifica o la lavorazione agricola.

Dopo il disastro di un'espansione urbana incontrollata, negli anni Ottanta una serie di provvedimenti - legge Galasso, piani paesistici, fino alla Convenzione europea del paesaggio - ha posto una nuova attenzione. Poi radicali cambiamenti hanno portato a una trasformazione del paesaggio, da bello e culturale a funzionale alla società. Oggi non sappiamo cosa fare di ampie porzioni di paesaggio che si svuotano in seguito al progressivo abbandono dell'agricoltura e assistiamo a un intenso avanzamento della naturalizzazione: in Italia cresce più che altrove la superficie boscata ma senza un aumento della cura forestale. In questo quadro  si offre una nuova opportunità: è possibile ottenere dal territorio un reddito molto superiore di quanto può garantire l'agricoltura attraverso l'installazione di impianti per energie rinnovabili, una scelta che ha anche una valenza etica in quanto si va a produrre energia pulita. Una grande occasione, se solo venisse realmente gestita, invece purtroppo assistiamo al fiorire di iniziative estemporanee non inserite in una logica che parta dall'analisi delle caratteristiche del territorio. Così ecco campi fotovoltaici in situazioni delicate, campi eolici in aree con ottima visuale. Distonie che si potrebbero evitare con un ragionamento condiviso da tutti gli attori coinvolti per decidere quale parte del territorio destinare a questo uso. Le installazioni di questo tipo modificano il paesaggio in senso contemporaneo e il paesaggio continua a cambiare, Goethe lo definiva "forma plasmata che solo vivendo evolve". Se l'uomo si ritrae il risultato negativo è la semplificazione a danno della multistratificazione, un fenomeno che incide anche sulla biodiversità che è ricca nei paesaggi culturali coltivati, mente subentra la semplificazione della matrice biotica quando si smette di intervenire con trasformazioni.
 
 

Un quadro negativo, quindi

Sì, perché il dibattito culturale degli anni Ottanta e Novanta si è interrotto e oggi non abbiamo più idea di cosa sarà il paesaggio italiano tra 30-50 anni. Se oltre la metà del territorio, quindi, è  rivolto al passato, il resto guarda timidamente al futuro ma senza idee chiare e soprattutto senza una strategia. La ricerca della qualità del paesaggio non arriva dal cielo ma si conquista nel dibattito quotidiano e nelle procedure concorsuali, senza cercare tecnicismi ma un'idea di ampio respiro. Ricordo gli ottimi risultati dei primi concorsi preparati correttamente con Legambiente per i parchi eolici in Calabria.
 
 

Servono quindi prima un piano nazionale per individuare la direzione da seguire e poi la ricerca della specificità dal basso?

Occorre definire un modello attorno al quale creare il consenso e poi decidere che non si scende sotto quello standard qualitativo. Il Ministero dei Beni Culturali ha recentemente messo a punto delle linee guida per l'installazione sul territorio di impianti per le energie rinnovabili e questa scelta fa ben sperare. Perché il pericolo è l'indifferenza e soprattutto la banalizzazione: abbiamo già vissuto una stagione di questa natura, quella del paesaggio dei capannoni, che ha creato una semplificazione acerrima nemica della qualità. Oggi siamo di fronte a una nuova sfida, mettere a confronto la società con un tema che coinvolge il suo paesaggio, ma chi deve gestire questa risorsa - in ultima analisi anche i Comuni - deve definire gli ambiti dove gli interventi sono ammissibili.

È una sfida anche per gli architetti, non per rincorrere progettazioni astoriche che lascino un segno, ma per imparare a leggere meglio la genesi dei diversi paesaggi e per rendersi conto di cosa significa inserirvi un elemento tecnologico rivoluzionario, che segna la nuova era. Personalmente sono molto preoccupato, perché un paesaggio così delicato come quello italiano in progressivo abbandono genera quei fenomeni di dissesto idrogeologico che sono in costante e drammatico aumento. Non è più una questione formale ma di sostanza, l'incuria non provoca soltanto scompiglio estetico ma un grave danno all'equilibrio complessivo.
 
 

È una sfida complicata perché non esiste una ricetta valida per tutti i luoghi, bisogna puntare sulla crescita della sensibilità e della cultura locale.

Da un lato è bene che il Ministero attui le linee guida per i macropaesaggi, ma queste non devono essere viste come l'ennesima nuova norma. Cogliamo l'occasione invece per ragionare sul territorio, la sua genesi e sul paesaggio. Su questo snodo ci giochiamo il futuro, siamo di fronte a un nuovo ciclo di produttività che investe gran parte del paesaggio italiano. E gli architetti possono dare un importante contributo di ricerca, per impedire che le nuove tecnologie vengano impiegate acriticamente e indistintamente in città, in periferia o in campagna, ogni ambito deve avere le sue regole. Non si capisce perché, ad esempio, in Italia la ricerca sui pannelli fotovoltaici non sia ancora in grado di renderli compatibili anche nei centri storici. Gli architetti dovrebbero prendere spunto da queste tematiche per riavvicinarsi alla società che genera questo paesaggio, imparare a comprenderne le esigenze e di qui partire per creare in ogni regione, provincia e comune i percorsi di intervento corretti. I cittadini poi vedono ogni giorno le conseguenze di queste scelte che lì toccano nel cuore, ancor più dell'abusivismo. Se il paesaggio amato si trasforma da un giorno all'altro in un campo fotovoltaico chi non è preparato può risentirsi, perché cambia fortemente un'immagine abituale.

Insomma, il processo di trasformazione del paesaggio italiano deve essere dosato con attenzione alla trama che è piccola, fine, una trama umana tracciata dalle mani degli agricoltori. Avviamo un'offensiva culturale che fare comprendere che questa importantissima innovazione che irrompe richiede un attento intervento progettuale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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