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Verso nuove politiche di piano

 

In una realtà in continua trasformazione, gli attuali strumenti di governo del territorio si sono rivelati inadeguati a gestire le esigenze di cambiamento. Con una legge urbanistica ferma da 70 anni, integrata da leggi regionali spesso utopiche ed inefficaci, i piani urbanistici nascono vecchi, incapaci di contenere le disfunzioni in atto e di programmare il futuro delle città post-industriali, carenti di infrastrutture e servizi indispensabili e in cui le funzioni abitative convivono in una congestione insostenibile con le attività secondarie e terziarie.


A partire dal 1942, anno di promulgazione della legge 1150, le proposte relative sia alla necessità, sia ai contenuti della riforma urbanistica sono stati molteplici. Già dalla fase costituente della Repubblica, con l'attribuzione alle Regioni delle competenze in materia, si ravvisava la necessità di una riscrittura delle norme urbanistiche.
Occorre però attendere il giugno 1962, con la discussione della "proposta Sullo", perché l'urbanistica assuma un ruolo centrale nel dibattito politico.
La "proposta Sullo" naufragò nel nulla e, di fatto, l'attenzione politica si spostò, dando origine a una serie di strumenti giuridici in grado di modificare la situazione esistente, ma incapaci di avviare un'effettiva riforma per affrontare la futura evoluzione della società.


L'istituzione delle Regioni a statuto ordinario, avvenuta nel 1970, ha spostato nel tempo la piena attuazione di una riforma dell'urbanistica che, nello spirito costituzionale, si basava sulla centralità dello Stato, a cui competeva la definizione delle norme di principio e degli indirizzi, mentre all'istituzione regionale spettava l'attuazione e la definizione delle regole di comportamento, così da determinare e rendere operante in forma unitaria il sistema di governo delle trasformazioni territoriali.

Tale situazione resta immutata nonostante la presenza di una consistente attività legislativa delle Regioni che, a partire dal 1972 e in modo eterogeneo e asincrono, hanno predisposto proprie normative urbanistiche che, in assenza di specifici riferimenti nazionali, hanno causato una forte parcellizzazione della materia, spesso anche contrastante nelle diverse parti del Paese.


Negli anni seguenti, in particolare quelli della così detta deregulation  che ha caratterizzato gli anni '80, la delegiferazione è divenuta l'elemento centrale del dibattito urbanistico, caratterizzato dalla contrapposizione fra piano e progetto. Il primo inteso come elemento burocratico non in grado di rapportarsi con una società in continua evoluzione, che meglio si ritrova in progetti mirati e concertati fra pubblico e privato.


All'inizio degli anni '90, con la riforma degli enti locali, disposta dalla legge 142/90, sembrano avviarsi le premesse per effettive e profonde riforme.
La legge 142/90, pur definendo le competenze in materia territoriale per le Province e i Comuni, non modificando né il quadro legislativo nazionale, né le competenze regionali fissate dall'articolo 117 della Costituzione, si è limitata a definire i princìpi, assegnando a specifici e successivi atti regionali l'applicazione delle normative in essa contenute.
Le Regioni, all'interno di una situazione così complessa, hanno impiegato quasi tutta la legislatura 1990-95 per affrontare e risolvere le problematiche urbanistiche, ponendosi l'obiettivo di  potenziare l'efficienza del governo locale nell'offerta di beni e servizi pubblici ai cittadini residenti.
Negli anni novanta, più che nel resto dell'Europa, in Italia si è assistito alla totale modifica della cultura e dei criteri di approccio alle politiche urbane e territoriali. I governi locali hanno dovuto di modificare integralmente le proprie strategie.


Come indicato in sede europea, pianificazione strategica e sviluppo sostenibile  non possono infatti più essere disgiunti: le componenti "globale" e "locale", unite,  debbono confrontarsi con esigenze sociali sempre più diverse e complesse,  soprattutto dopo la crisi del sistema produttivo e l'impellente necessità di stabilizzare i bilanci pubblici.
Le modifiche introdotte dalla Legge costituzionale n. 3 /2001 hanno introdotto profonde novità nell'attribuzione delle competenze tra Stato, Regioni ed Enti Locali.
Il nuovo art. 117 della costituzione prevede che lo Stato abbia legislazione esclusiva in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, mentre il governo del territorio, porti ed aeroporti civili, sono materie sottoposte a legislazione concorrente tra Stato e Regioni.
L'attuale modello di sviluppo del territorio è entrato in uno stato di crisi irreversibile: a fronte di una situazione geologica disastrata e dell'espansione edilizia incontrollata dei centri urbani verso le periferie, con lo spopolamento dei nuclei storici che hanno cancellato una parte della storia e della cultura delle nostre comunità, non è possibile non pensare ad un riassetto sia  del territorio rovinato da crolli e frane che degli edifici inadeguati dal punto di vista energetico e staticamente pericolanti alla prima manifestazione sismica.


Non è più rimandabile l'esigenza di una nuova e moderna legge urbanistica che consenta di valorizzare il territorio italiano "che - a differenza di quando afferma la normativa vigente del 1942, non deve più essere ricostruito, ma salvaguardato da inadeguate trasformazioni urbanistiche, frenando l'espansione edilizia, incentivando i temi del recupero, della riqualificazione e rigenerazione urbana attraverso la qualità dell'architettura.


E' improrogabile il riordino del complesso sistema di leggi che oggi regolano il governo del territorio, eliminando le sovrapposizioni di competenza tra Stato, regioni ed amministrazioni locali, riscrivendo, le norme statali incostituzionali che attualmente costituiscono l'impalcatura legislativa che soprintende la pianificazione territoriale.
Occorre promuovere una legge a livello statale per il governo del territorio in grado di racchiudere in un unico quadro legislativo le problematiche territoriali, ambientali e di difesa del suolo stabilendo i principi base d'indirizzo per la formazione delle leggi regionali, definendo la distribuzione delle competenze e delimitando in modo chiaro le residuali competenze dello Stato nelle materie che si intersecano con la pianificazione regionale e locale, così da raggiungere l'ottimale rapporto pianificazione-sviluppo- ambiente.
La pianificazione territoriale va coniugata con la conservazione e il recupero intelligente dei centri storici e dell'edilizia esistente, senza dimenticare le periferie che meritano attenzione e una precisa rigenerazione. 


Si deve superare il concetto di pianificazione come mera trasposizione vincolistica di indici e parametri astratti per l'uso del territorio ai fini della nuova edificazione, introducendo elementi di flessibilità e semplificazione che con chiarezza e razionalità garantiscano i cittadini da arbitrarie interpretazioni, sostituendo il processo autorizzatorio dei piani a cascata con il parere di conformità ai piani sovraordinati e garantendo la sussidiarietà, l'autonomia e la responsabilità nell'attività di pianificazione dei diversi livelli istituzionali.


Il territorio deve essere considerato un bene comune, utilizzando gli strumenti della concertazione, programmazione negoziata e patti territoriali per il superamento di un consumo generalizzato del suolo.
Tra i principi di indirizzo statale indispensabili per la riforma del governo del territorio hanno grande importanza quelli miranti a perseguire la perequazione fondiaria, limitando l'iniqua differenziazione di trattamento della proprietà fondiaria generata dalla zonizzazione: i piani comunali non devono più beneficiare i proprietari dei terreni edificabili rispetto a quelli i cui terreni sono destinati a funzioni pubbliche.
Introducendo indici convenzionali di edificabilità e ricorrendo ad opportune politiche fiscali, si deve distribuire in modo equo, sia la rendita fondiaria che interessa i terreni nelle zone di espansione, sia quella prodotta  dall'intervento pubblico sul tessuto urbano esistente.
E' necessario raggiungere gli obiettivi della pianificazione con un mercato di titoli urbanistici a cui possano accedere tutti i proprietari dei suoli urbani.
In questa direzione si è collocato il disegno di legge sul regime dei suoli e la ridefinizione della proprietà fondiaria, predisposto, con la consulenza del professor Paolo Stella Richter, dai Consigli nazionali degli architetti e degli ingegneri in cooperazione con Ance, Tecnoborsa e CeNSU.
In questo scenario molto complesso, caratterizzato da incertezza e  da scarse risorse economiche, per rispondere in modo più agile e flessibile, ma anche più eticamente corretto, alle dinamiche di evoluzione proprie dei nostri tempi, sono richieste nuove politiche urbane e territoriali in grado di frenare l'esasperato uso del suolo e le nuove costruzioni al di fuori di programmi di rigenerazione del patrimonio edilizio esistente. Riuso, riqualificazione e rivitalizzazione sono concetti attorno ai quali si devono muovere le politiche urbane. 


In quest'ottica si deve collocare la politica dello sviluppo sostenibile delle città, riducendo la dispersione urbana, così da frenare il consumo di nuovo territorio non urbanizzato anche mediante la densificazione di alcuni ambiti solo in presenza della liberalizzazione di altre aree urbanizzate da destinare a servizi e luoghi di aggregazione.
Occorrerà però occuparsi anche dei cittadini che non possiedono suoli, con programmi che, oltre alla riqualificazione urbanistica ed edilizia, con utilizzo di materiali sostenibili e ricorso a energie alternative, favoriscano l'eliminazione del disagio sociale conseguente ad interventi che hanno risposto quasi esclusivamente alla speculazione edilizia ed alla rivalutazione della rendita fondiaria.
I nuovi interventi si devono porre l'obiettivo della riqualificazione delle infrastrutture urbanizzative e della valorizzazione delle tematiche sociali, economiche, ambientali.
E' necessario un salto culturale da parte di tutti i protagonisti, gli architetti devono modificare il loro tradizionale approccio progettuale, le imprese devono superare la consueta logica di operare, la politica deve farsi carico rapidamente ed in modo complessivo di questa grande riforma non più rimandabile.
Potenziare le infrastrutture, fare politiche culturali mirate, programmare piani di sviluppo sostenibile e rispettosi dell'ambiente sono le sfide che ci aspettano per fare delle nostre città l'investimento più importante per il nostro futuro.
E' giunto il tempo di una nuova legge quadro capace di assicurare, su tutto il territorio nazionale, il rispetto del principio di uguaglianza tra cittadini e operatori economici e sociali in materia di diritti e doveri connessi alla pianificazione del territorio. Concetto che, unito alla certezza dei tempi per l'ottenimento dei titoli autorizzativi, può richiamare i grandi investitori internazionali, sinora frenati da un apparato burocratico che rappresenta probabilmente il vero ostacolo alla crescita del Paese.

Ferruccio Favaron
Presidente Dipartimento Politiche Urbane e Territoriali
Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori

 
 
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