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Onorario, prestazione, etica

 

in: Al Governo chiediamo che ...

Testata:
l'Architetto
 
Data:
Luglio/Agosto 1999 - n.138/99
 
Autore:
Nevio Parmeggiani
 
 
Il problema delle tariffe sta venendo dopo anni di inerzia, non certo per nostro demerito, alla sua soluzione. Non occorre ricordare il numero di occasioni in cui abbiamo denunciato la necessità di adeguarle ad una nuova situazione di mercato e ad una diversissima maniera di fare professione.

Malignamente si potrebbe pensare [qualcuno ritiene che a pensare male qualche volta ci si prende!] che da qualche parte ci fosse la volontà attraverso la constatazione delle loro vetustà, come certe persone anziane inutili, di abolirle definitivamente.

Affrontare questo problema in modo esaustivo significa chiedere lo spazio dell'intera rivista. Evidentemente cosa impossibile.

Da che viviamo nell'era moderna [dal 1492, scoperta dell'America], la retribuzione di una prestazione professionale significa anche riconoscimento di un lavoro intellettuale. A differenza degli antichi Romani, che ritenevano l'onorario una sorta di onore riservato all'uomo di cultura per una qualsivoglia consulenza, e pertanto non necessariamente retribuita ma solo graziosamente e discrezionalmente elargita, noi siamo convinti che, oltre il necessario sostentamento al depositario di un sapere esclusivo, l'onorario non sia solo l'onore al merito ma anche una patente di dignità.

Ma non solo: negli ultimi 50 anni sono avvenuti molti più cambiamenti che in secoli di storia.

Ma nel poco spazio concesso esprimiamo alcuni concetti fondamentali e non più di tanto.
 
 
 
 
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