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La cupola sbagliata di Michelangelo

 

Fu consolidata e terminata da Giacomo della Porta

Testata:
la Repubblica
 
Data:
15-05-2008
 
Autore:
Carlo Alberto Bucci
 
 
La «sì bella e terribil machina», la cupola di San Pietro secondo le parole di Giorgio Vasari che decantò il progetto di Michelangelo, doveva prendere vita grazie a due calotte, indipendenti e leggere. Troppo leggere. Se fosse stata costruita secondo l'idea formalizzata dal genio toscano tra il 1548 e il 1561, la gigantesca copertura della nuova basilica avrebbe avuto certamente problemi di statica. Per questo Giacomo della Porta, che nel 1588, ben 22 anni dopo la morte del Buonarroti, completò in soli 16 mesi l'opera facendo raggiungere alla struttura l'altezza di 136 metri, appoggiò le due sue calotte su un solido anello di base appositamente ideato; scaricò i pesi dei muri su 16 poderosi speroni; e, per evitare che, come una vela, la cupola volasse in aria e rovinasse poi a terra, fece attraversare il corpo della calotta interna da sette catene (fino a oggi se ne conoscevano tre), ossia da cerchi composti ciascuno da 16 aste in ferro per coprire il diametro di 42 metri.
È anche per questo che Federico Bellini, presentando ieri all'Istituto nazionale di studi romani gli esiti delle sue ricerche, in vista della pubblicazione del libro su La cupola di San Pietro da Michelangelo a Della Porta (Nuova Argos editore), ha definito l'architetto genovese «uno dei maggiori strutturisti della storia occidentale». Bellini - che ha dedicato numerosi studi agli organismi a cupola, a Costantinopoli come a Roma, compreso un libro su quelle di Borromini - frequenta da anni l'Archivio della Reverenda Fabbrica di San Pietro, i cui documenti sono in larga parte inediti, «soprattutto per ciò che riguarda il cantiere dallaportiano».
Lo studioso romano lavora per portare fuori Della Porta dall'ombra che gli è stata gettata addosso dalla cupola michelangiolesca. Il lapicida d'origini ticinesi (morì a Roma nel 1602, 69enne) non fu il maldestro esecutore di progetti altrui. Ma un innovativo maestro che, «a differenza di Michelangelo, appartiene appieno alla nuova fase di progresso tecnologico di fine Cinquecento». E che, alzando il sesto, tanto da negare il profilo circolare della "pancia" michelangiolesca, sottopose la cupola di San Pietro «a un irresistibile slancio verticale, aprendo di fatto alla nuova stagione del barocco». E Michelangelo? Rimane immenso. «Modellò la calotta esterna come un corpo scultoreo e quella interna come un involucro geometrico. Due organismi leggeri e indipendenti il cui modello non va ricercato però nella cupola di Santa Maria del Fiore ma, sempre a Firenze, in quella di Santo Spirito».

 
 
 
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