Il Rapporto Ecosistema urbano, prodotto da Legambiente in
collaborazione con l'Istituto Ambiente Italia, è arrivato alla XVII
edizione e monitora, anno dopo anno, l'evoluzione della qualità di una
serie di indicatori che nel loro insieme fotografano lo stato di salute
ambientate delle città italiane. O meglio, delle 103 città capoluogo di
provincia. Aria, acque, rifiuti, trasporti e mobilità, verde urbano,
energia, politiche ambientali pubbliche e private sono i principali
parametri presi in considerazione in termini di fattori di pressione e
di qualità delle componenti ambientali così come vengono valutate le
capacità di risposta e di gestione ambientale messe in atto da parte
delle amministrazioni locali.
Con
il presidente nazionale di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza,
analizziamo gli aspetti più generali che emergono dal Rapporto.
La classifica finale che tiene conto dell'apporto di tutti gli
indicatori chiarisce che, come di consueto, sono le città medio piccole
a garantire una migliore qualità dell'ambiente: da Belluno a Verbania,
da Siena a Livorno, solo per citare alcune tra le prime dieci.
È
evidente, guardando i numeri del rapporto, il contrasto tra il quasi
generale peggioramento delle posizioni in classifica dei grandi centri
urbani (con più di 500.000 abitanti), tranne Torino, e lo speculare
lento movimento dei piccoli e medi centri. I motivi sono facilmente
identificabili nella maggior difficoltà di amministrare una grande
città e nel legame più forte che spesso i sindaci delle città medio
piccole hanno con il proprio territorio. Dobbiamo anche dire che queste
differenze sono indipendenti dal colore politico delle amministrazioni,
più spesso sono collegate con l'idea di città e di sviluppo urbano
delle amministrazioni locali. Un dinamismo diffuso dei capoluoghi più
piccoli, del centro, del nord, del sud o delle isole, anche se non è
sempre sinonimo di ottime performance ambientali, è certamente un
segnale da valutare che indica proprio i piccoli e medi centri urbani
italiani come "motore" principale del cambiamento. Particolarmente
visibili sono i passi in avanti di Oristano, Avellino, Sondrio e
Isernia, che recuperano molte posizioni, come Pordenone che scalando 29
posti entra ora nella top ten.
Il tempo delle grandi città metropolitane non verrà mai?
È
vero che tutte le grandi, eccetto Torino (74ª), evidenziano un
peggioramento della posizione in classifica in questa edizione del
rapporto. Genova è 32ª (era 22ª), Milano 63ª (46ª), Roma 75ª (62ª),
Napoli 96ª (89ª), Palermo 101ª (90ª). La flessione dei grandi centri
urbani è dovuta principalmente ad una generale conferma di performance
storicamente negative in alcuni dei settori chiave del rapporto: dalla
qualità dell'aria alla situazione complessiva della mobilità e del
trasposto pubblico in particolare, passando per il ciclo dei rifiuti e
quello delle acque.
È chiaro che le metropoli faticano
non poco a rispondere alle criticità in modo evidente, perché da troppo
tempo ci si è limitati a cercare di gestire, con sempre maggior
difficoltà, le emergenze (mobilità, inquinamento atmosferico, rifiuti,
ecc.) senza puntare invece su un progetto di rinnovamento della città e
del vivere urbano, che portasse ad una nuova pianificazione con
obiettivi a lungo termine. E le emergenze sono ovviamente aumentate,
per questo oggi è complicato misurare miglioramenti evidenti nei grandi
centri urbani del nostro Paese ed è facile che, a meno di scelte forti
e veramente coraggiose dei sindaci, sarà così ancora per molto.
Dopo 17 edizioni del Rapporto si può certamente leggere in trasparenza
una linea di tendenza di modifica: in meglio o in peggio, e su quali
direttrici?
È un'Italia sostanzialmente ferma quella
fotografata dalla XVII edizione del rapporto Ecosistema Urbano di
Legambiente. Anzi, sarebbe meglio dire un'Italia che, per quel che
riguarda le performance ambientali, si muove come se fosse su un tapis
roulant che va dalla parte opposta. Con una mobilità immobile che
avvolge tutto il Paese con qualche isolata ma piacevole eccezione e che
dimostra ulteriormente come le strategie messe in campo dalle
amministrazioni locali abbiano ormai segnato il passo, rendendo
impossibile un significativo e generale cambio di marcia. Dopo 17 anni
possiamo dire che la situazione non è rosea, anzi, che le emergenze
attanagliano sempre di più i nostri centri urbani. Cresce
l'inquinamento dell'aria; la mobilità è sempre più in mano ai mezzi
privati che soffocano il trasporto pubblico in perenne affanno e la
gestione del ciclo dei rifiuti rimane, grosso modo, irrisolta. Ma
dobbiamo anche dire che qui la responsabilità principale è del disegno
politico nazionale ancorata ad un'idea vecchia e chiusa di sviluppo. Il
piano casa, il negazionismo sui cambiamenti climatici, il favore dato
al nucleare (questo sì davvero antistorico, come dimostra il recente
disastro di Fukushima) e il pervicace smontaggio di tutte le misure
volte a favorire rinnovabili ed efficienza energetica (il decreto
Romani sulle rinnovabili e il depotenziamento della detrazione fiscale
del 55% per interventi di riqualificazione edilizia), l'assenza di
interventi sull'emergenza polveri sottili che puntualmente si rinnova
ogni inverno, il devastante consumo di suolo, sono tutti segnali
inequivocabili che non stimolano certo l'innovazione delle politiche
urbane.
Forse due indicatori possono farci capire
meglio degli altri se le nostre città guardano al futuro o inseguono
l'emergenza: la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti e il
tasso di presenza/crescita di energie rinnovabil
i.
Rispetto
ai rifiuti, cresce un po' la percentuale media di quelli raccolti in
modo differenziato, che si ferma però al 29,97%, rispetto al 27,2%
della scorsa edizione e cala la produzione totale che è di circa 597,8
kg pro capite (610,2 nella passata edizione, ma qui forse interviene
anche la crisi economica e dei consumi). Sul fronte energie rinnovabili
invece, per quel che riguarda i comuni capoluogo di provincia non si
registrano evidenti miglioramenti, anche se, va detto, le cose migliori
le fanno i piccoli comuni e i singoli cittadini, molto sensibili al
tema. I sindaci stanno comprendendo l'importanza di affrontare in modo
sostanziale l'argomento e lo vediamo dalle risposte, sempre più
complete, che negli ultimi anni ci arrivano. Ma soprattutto vediamo,
dai dati del recente rapporto Comuni Rinnovabili di Legambiente, una
crescita costante di impianti (presenti ormai in più di 7.500 comuni) e
addirittura 20 comuni 100% rinnovabili. A questo aggiungerei anche una
più diffusa sensibilità e attenzione di una parte importante
dell'imprenditoria, anche nel settore dell'edilizia, per interventi di
riqualificazione energetica e di efficientamento. Una dimostrazione è
data anche dal successo del nostro progetto eternit free, che bonifica
i tetti in amianto realizzando impianti fotovoltaici. Esiste dunque una
parte del Paese che guarda al futuro ed è consapevole delle sfide che
ci attendono.
Le amministrazioni locali stanno
investendo seriamente sul trasporto pubblico, incidendo di conseguenza
anche sulla qualità dell'aria?
Non è colpa degli
amministratori locali se da molti anni lo Stato investe poco nelle
infrastrutture per il trasporto pubblico urbano: il recente taglio ai
bilanci regionali sul pendolarismo non aiuta certo. Però capita sovente
che questo dato oggettivo venga usato come un alibi dai "primi
cittadini": che molte cose utili potrebbero fare a costo zero, dalla
sperimentazione di forme di road pricing sul modello di Londra o
Stoccolma alla moltiplicazione delle corsie preferenziali, alla
valorizzazione dell'uso della bicicletta, del car sharing e del car
pooling. Traffico e inquinamento non sono prerogative italiane, ma del
"non fare" abbiamo spesso l'esclusiva. A Milano come a Roma, a Napoli
come a Torino, i governi urbani sembrano non vedere che la soluzione al
problema può venire soltanto da un forte, deciso privilegio accordato
al trasporto pubblico. Sul quale non si concentrano sforzi evidenti e
manca una chiara pianificazione di sistema. Questa scelta non può
attendere la realizzazione di una rete adeguata di metropolitane, per
la quale servono decenni e che peraltro è spesso impraticabile per
mancanza di soldi: bisogna agire subito per rendere svantaggioso,
sconveniente, magari anche "politicamente scorretto", l'uso dell'auto
in città. Principale causa, questa sì, dell'inquinamento dell'Aria
(PM10, Ozono, NO2, ecc.), che fa registrare una leggera flessione, ma
resta sempre un'emergenza.
Verificate una dialettica
tra il Rapporto Ecosistema urbano e le amministrazioni, nel senso di
riconoscere uno stimolo a profondere sempre maggiori sforzi?
Si.
Questo è uno dei fattori che negli anni possiamo senza dubbio
identificare come positivo. Nelle primissime edizioni del rapporto
Ecosistema Urbano ci rispondevano in pochi e spesso in modo incompleto.
Oggi siamo arrivati ad avere una percentuale complessiva di risposte
che supera il 90% dei comuni capoluogo che ci inviano risposte sempre
più complete. Questo indubbiamente è indice di un'attenzione sempre
maggiore da parte degli amministratori anche se, a volte, i risultati
faticano ad arrivare. Ma il monitoraggio e l'attenzione verso
territorio e cittadini è indubbiamente cresciuta nel tempo e questo è
uno dei risultati più soddisfacenti di Ecosistema Urbano. Credo anche
che l'attenzione dei Comuni italiani per il Patto dei Sindaci
(l'accordo europeo per sviluppare politiche urbane coerenti con gli
obiettivi del 20-20-20 contro i cambiamenti climatici) sia il risultato
di questa diversa sensibilità che si sta costruendo e il fatto che il
Comune di Genova sia il primo Comune europeo a cui è stato approvato il
Piano d'azione credo che vada assunto come un buon auspicio.