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Pierluigi Mutti

 

Note biografiche

 

 

Ambiente e sistemi urbani le emergenze peggiorano

 
Pubblicato sul:
Focus n° 4/11
 
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Il Rapporto Ecosistema urbano, prodotto da Legambiente in collaborazione con l'Istituto Ambiente Italia,  è arrivato alla XVII edizione e monitora, anno dopo anno, l'evoluzione della qualità di una serie di indicatori che nel loro insieme fotografano lo stato di salute ambientate delle città italiane. O meglio, delle 103 città capoluogo di provincia. Aria, acque, rifiuti, trasporti e mobilità, verde urbano, energia, politiche ambientali pubbliche e private sono i principali parametri presi in considerazione in termini di fattori di pressione e di qualità delle componenti ambientali così come vengono valutate le capacità di risposta e di gestione ambientale messe in atto da parte delle amministrazioni locali.
Con il presidente nazionale di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, analizziamo gli aspetti più generali che emergono dal Rapporto.


    La classifica finale che tiene conto dell'apporto di tutti gli indicatori chiarisce che, come di consueto, sono le città medio piccole a garantire una migliore qualità dell'ambiente: da Belluno a Verbania, da Siena a Livorno, solo per citare alcune tra le prime dieci.
È evidente, guardando i numeri del rapporto, il contrasto tra il quasi generale peggioramento delle posizioni in classifica dei grandi centri urbani (con più di 500.000 abitanti), tranne Torino, e lo speculare lento movimento dei piccoli e medi centri. I motivi sono facilmente identificabili nella maggior difficoltà di amministrare una grande città e nel legame più forte che spesso i sindaci delle città medio piccole hanno con il proprio territorio. Dobbiamo anche dire che queste differenze sono indipendenti dal colore politico delle amministrazioni, più spesso sono collegate con l'idea di città e di sviluppo urbano delle amministrazioni locali. Un dinamismo diffuso dei capoluoghi più piccoli, del centro, del nord, del sud o delle isole, anche se non è sempre sinonimo di ottime performance ambientali, è certamente un segnale da valutare che indica proprio i piccoli e medi centri urbani italiani come "motore" principale del cambiamento. Particolarmente visibili sono i passi in avanti di Oristano, Avellino, Sondrio e Isernia, che recuperano molte posizioni, come Pordenone che scalando 29 posti entra ora nella top ten.
    

Il tempo delle grandi città metropolitane non verrà mai?

È vero che tutte le grandi, eccetto Torino (74ª), evidenziano un peggioramento della posizione in classifica in questa edizione del rapporto. Genova è 32ª (era 22ª), Milano 63ª (46ª), Roma 75ª (62ª), Napoli 96ª (89ª), Palermo 101ª (90ª). La flessione dei grandi centri urbani è dovuta principalmente ad una generale conferma di performance storicamente negative in alcuni dei settori chiave del rapporto: dalla qualità dell'aria alla situazione complessiva della mobilità e del trasposto pubblico in particolare, passando per il ciclo dei rifiuti e quello delle acque.
È chiaro che le metropoli faticano non poco a rispondere alle criticità in modo evidente, perché da troppo tempo ci si è limitati a cercare di gestire, con sempre maggior difficoltà, le emergenze (mobilità, inquinamento atmosferico, rifiuti, ecc.) senza puntare invece su un progetto di rinnovamento della città e del vivere urbano, che portasse ad una nuova pianificazione con obiettivi a lungo termine. E le emergenze sono ovviamente aumentate, per questo oggi è complicato misurare miglioramenti evidenti nei grandi centri urbani del nostro Paese ed è facile che, a meno di scelte forti e veramente coraggiose dei sindaci, sarà così ancora per molto.


Dopo 17 edizioni del Rapporto si può certamente leggere in trasparenza una linea di tendenza di modifica: in meglio o in peggio, e su quali direttrici?

È un'Italia sostanzialmente ferma quella fotografata dalla XVII edizione del rapporto Ecosistema Urbano di Legambiente. Anzi, sarebbe meglio dire un'Italia che, per quel che riguarda le performance ambientali, si muove come se fosse su un tapis roulant che va dalla parte opposta. Con una mobilità immobile che avvolge tutto il Paese con qualche isolata ma piacevole eccezione e che dimostra ulteriormente come le strategie messe in campo dalle amministrazioni locali abbiano ormai segnato il passo, rendendo impossibile un significativo e generale cambio di marcia. Dopo 17 anni possiamo dire che la situazione non è rosea, anzi, che le emergenze attanagliano sempre di più i nostri centri urbani. Cresce l'inquinamento dell'aria; la mobilità è sempre più in mano ai mezzi privati che soffocano il trasporto pubblico in perenne affanno e la gestione del ciclo dei rifiuti rimane, grosso modo, irrisolta. Ma dobbiamo anche dire che qui la responsabilità principale è del disegno politico nazionale ancorata ad un'idea vecchia e chiusa di sviluppo. Il piano casa, il negazionismo sui cambiamenti climatici, il favore dato al nucleare (questo sì davvero antistorico, come dimostra il recente disastro di Fukushima) e il pervicace smontaggio di tutte le misure volte a favorire rinnovabili ed efficienza energetica (il decreto Romani sulle rinnovabili e il depotenziamento della detrazione fiscale del 55% per interventi di riqualificazione edilizia), l'assenza di interventi sull'emergenza polveri sottili che puntualmente si rinnova ogni inverno, il devastante consumo di suolo, sono tutti segnali inequivocabili che non stimolano certo l'innovazione delle politiche urbane.
   

Forse due indicatori possono farci capire meglio degli altri se le nostre città guardano al futuro o inseguono l'emergenza: la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti e il tasso di presenza/crescita di energie rinnovabil i.

Rispetto ai rifiuti, cresce un po' la percentuale media di quelli raccolti in modo differenziato, che si ferma però al 29,97%, rispetto al 27,2% della scorsa edizione e cala la produzione totale che è di circa 597,8 kg pro capite (610,2 nella passata edizione, ma qui forse interviene anche la crisi economica e dei consumi). Sul fronte energie rinnovabili invece, per quel che riguarda i comuni capoluogo di provincia non si registrano evidenti miglioramenti, anche se, va detto, le cose migliori le fanno i piccoli comuni e i singoli cittadini, molto sensibili al tema. I sindaci stanno comprendendo l'importanza di affrontare in modo sostanziale l'argomento e lo vediamo dalle risposte, sempre più complete, che negli ultimi anni ci arrivano. Ma soprattutto vediamo, dai dati del recente rapporto Comuni Rinnovabili di Legambiente, una crescita costante di impianti (presenti ormai in più di 7.500 comuni) e addirittura 20 comuni 100% rinnovabili. A questo aggiungerei anche una più diffusa sensibilità e attenzione di una parte importante dell'imprenditoria, anche nel settore dell'edilizia, per interventi di riqualificazione energetica e di efficientamento. Una dimostrazione è data anche dal successo del nostro progetto eternit free, che bonifica i tetti in amianto realizzando impianti fotovoltaici. Esiste dunque una parte del Paese che guarda al futuro ed è consapevole delle sfide che ci attendono.


Le amministrazioni locali stanno investendo seriamente sul trasporto pubblico, incidendo di conseguenza anche sulla qualità dell'aria?

Non è colpa degli amministratori locali se da molti anni lo Stato investe poco nelle infrastrutture per il trasporto pubblico urbano: il recente taglio ai bilanci regionali sul pendolarismo non aiuta certo. Però capita sovente che questo dato oggettivo venga usato come un alibi dai "primi cittadini": che molte cose utili potrebbero fare a costo zero, dalla sperimentazione di forme di road pricing sul modello di Londra o Stoccolma alla moltiplicazione delle corsie preferenziali, alla valorizzazione dell'uso della bicicletta, del car sharing e del car pooling. Traffico e inquinamento non sono prerogative italiane, ma del "non fare" abbiamo spesso l'esclusiva. A Milano come a Roma, a Napoli come a Torino, i governi urbani sembrano non vedere che la soluzione al problema può venire soltanto da un forte, deciso privilegio accordato al trasporto pubblico. Sul quale non si concentrano sforzi evidenti e manca una chiara pianificazione di sistema. Questa scelta non può attendere la realizzazione di una rete adeguata di metropolitane, per la quale servono decenni e che peraltro è spesso impraticabile per mancanza di soldi: bisogna agire subito per rendere svantaggioso, sconveniente, magari anche "politicamente scorretto", l'uso dell'auto in città. Principale causa, questa sì, dell'inquinamento dell'Aria (PM10, Ozono, NO2, ecc.), che fa registrare una leggera flessione, ma resta sempre un'emergenza.


Verificate una dialettica tra il Rapporto Ecosistema urbano e le amministrazioni, nel senso di riconoscere uno stimolo a profondere sempre maggiori sforzi?

Si. Questo è uno dei fattori che negli anni possiamo senza dubbio identificare come positivo. Nelle primissime edizioni del rapporto Ecosistema Urbano ci rispondevano in pochi e spesso in modo incompleto. Oggi siamo arrivati ad avere una percentuale complessiva di risposte che supera il 90% dei comuni capoluogo che ci inviano risposte sempre più complete. Questo indubbiamente è indice di un'attenzione sempre maggiore da parte degli amministratori anche se, a volte, i risultati faticano ad arrivare. Ma il monitoraggio e l'attenzione verso territorio e cittadini è indubbiamente cresciuta nel tempo e questo è uno dei risultati più soddisfacenti di Ecosistema Urbano.  Credo anche che l'attenzione dei Comuni italiani per il Patto dei Sindaci (l'accordo europeo per sviluppare politiche urbane coerenti con gli obiettivi del 20-20-20 contro i cambiamenti climatici) sia il risultato di questa diversa sensibilità che si sta costruendo e il fatto che il Comune di Genova sia il primo Comune europeo a cui è stato approvato il Piano d'azione credo che vada assunto come un buon auspicio.

 
 
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