Durante i lunghi secoli della società rurale, la città murata era luogo di consumo delle derrate alimentari prodotte nelle campagne. Durante i due secoli di società industriale, la città - da Londra a Parigi - ha abbattuto le sue mura protettive, ha creato fabbriche e grandi magazzini, è diventata luogo di produzione di beni materiali, distribuiti poi su tutto il territorio nazionale. E oggi, cosa è la città? È il luogo dove vive il 52% di tutta la popolazione mondiale, dove sono scomparse le fabbriche e le nebbie, dove si producono i beni postindustriali: le informazioni, i servizi, i divertimenti, i certificati, i simboli, i valori, le mode, l'estetica. Sotto questo aspetto si può dire che Roma è stata sempre città postindustriale.
Se la città rurale brulicava di miserabili come la Parigi descritta da Victor Hugo; se la città industriale ribolliva di conflitti tra borghesia e proletariato come la Manchester di Engels, la città postindustriale rischia l'alienazione, l'egoismo, la violenza gratuita, la trivialità. Rischia di togliere ai suoi abitanti la solitudine senza dare loro l'amicizia.
Contro questa temibile deriva, il presidente dell'Associazione mondiale degli Architetti, Jaime Lerner, dopo avere splendidamente amministrato e trasformato la sua città, Curitiba, ha scritto un libro delizioso intitolato Agopuntura urbana per incoraggiare i cittadini a mettere in atto piccoli gesti di reciproca cortesia, capaci di rendere gradevole, calda, umana, solidale la vita della propria città. Faccio due possibili esempi tratti dalla nostra Roma. (...)
Sono due piccoli esempi di «agopuntura urbana». Forse non cambiano il mondo, ma certamente cambiano in meglio la vita quotidiana.