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Da Vitruvio a Ruskin qualità vuol dire architettura

 

Lei ha una sua definizione di qualità architettonica?

Nel vocabolario una serie di sottovoci identificano il termine qualità. C'è una qualità tecnologica, di operatività del cantiere, di abbattimento dei costi e fa parte della qualità tecnica. Poi c'è una qualità formale che ha a che fare con il bello, con il desiderio di rispondere esteticamente a un'esigenza. E, dopo duemila anni, torniamo alla definizione di Vitruvio: venustas, utilitas, firmitas. Il vero problema dell'architettura oggi è che tutto è centrato sull'estetica, uno dei tre pilastri che reggono l'architettura, dimentichi del fatto che essa deve rispondere a una funzione, a un carattere tipologico, deve avere una qualità costruttiva. Sembra che tutto debba essere forma, involucro, indifferente all'interno. Ma spesso la qualità implica togliere qualcosa alla città non aggiungere, ragionare non per pieni ma per vuoti, comprendere che l'architettura è un valore sociale e non l'autorealizzazione dell'egotismo del progettista. Insomma parlare della qualità dell'architettura significa parlare dell'architettura.
 
 

Come se fosse implicito?

Se non lo è siamo di fronte a pessima architettura, a qualcosa che non risponde a un'esigenza sociale. Insisto perchè mi vengono poste continuamente curiose domande come scrittore o come architetto, come se le due discipline fossero lontanissime. Ma porto sempre in me l'insegnamento di John Ruskin in Le sette lampade dell'architettura, in cui dice:"sono soltanto due le discipline che fanno la memoria di una nazione, la letteratura e l'architettura". Sicuramente l'architettura che stiamo facendo è talmente pessima che regaliamo alle future generazioni una brutta idea dell'Italia. Non so se la letteratura sta facendo lo stesso, mi trovo a metà strada fra le due discipline e ho paura di annegare.
 
 

Dagli anni '40 la qualità dell'architettura media italiana è andata scemando.

Contestualizzerei meglio questa affermazione, la ricostruzione ha dato grandissimi esempi di architettura, fino agli inizi degli anni Sessanta non abbiamo fatto brutta architettura in Italia tranne avere permesso alla pletora di sottoprofessionisti di colare villettine in tutto il paese. Ci sono esempi di straordinaria architettura anche popolare di altissimo livello. Da un certo momento tutto è andato perduto, ma insieme a tutta la nazione. Siamo una società in declino devastante, anche morale. Oggi l'interlocutore di potere dell'architetto di successo è il grande stilista, non più il politico, il che è aberrante.
 
 

La semplificazione italiana vorrebbe che ci fosse ovunque il grande segno del genio, un Guggenheim in ogni provincia.

Bisogna partire dal territorio per andare nel mondo e non il contrario, lavorare sull'eccellenza che c'è nel locale. La straordinarietà delle città del nord Europa sta nella qualità media dell'architettura, il grande genio va dove c'è qualità, mentre quando arriva in Italia ci dà il progetto di scarto e noi ci entusiasmiamo.Tutto ciò è profondamente provinciale. Il modello che stiamo regalando alle nuove generazioni è che l'architetto è un parrucchiere, un sarto che taglia e cuce un bell'abito. E manca l'essenza dell'architettura cioè la critica del territorio: noi non facciamo più critica, siamo in ginocchio di fronte al potere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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