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La poesia del misuratore di spazi

 
Testata:
La Stampa
 
Data:
14-02-2013
 
Autore:
Mario Calabresi
 
 

Uno dei più grandi fotografi italiani da ieri non c'è più, non aveva nemmeno settant'anni, era nato nel 1944 nel centro di Milano e in Piazza del Duomo aveva imparato le regole degli spazi che avrebbero segnato la sua vita. «Mi ci portava sempre la nonna e io mi sentivo piccolissimo in quello spazio infinito, di fronte alla grandezza della cattedrale provavo un misto di paura e di ebbrezza».

La macchina fotografica la incontrò nel Sessantotto: «Avevo frequentato regolarmente i primi tre anni di architettura, poi mi ero dimenticato di fare il rinvio e così ero finito a fare il militare a Torino, fante alla caserma Cavour, comandante un uomo che si sarebbe fatto notare poi nei servizi segreti: Gianadelio Maletti. C'era un clima insopportabile ma quando mi congedai fuori il mondo era completamente cambiato. All'Università non si disegnava più perché sui tavoli ci si sedeva, erano scomparse le attività grafiche e tecniche e si facevano continue manifestazioni. Mi trovai con una macchina fotografica in mano e pensai che quello poteva essere il mio modo di testimoniare e partecipare al cambiamento, ma i cortei mi stufarono in fretta. La fotografia però mi piaceva sempre di più, cominciai a specializzarmi in edifici, interni, design e presto mi resi conto che potevo guadagnare di più così che facendo i disegni negli studi di architettura». Così aprì uno studio in via Brera e la sua tecnica cominciò a formarsi per trovare la sua dimensione la domenica di Pasqua del 1978 quando cominciò a catalogare le aree dismesse di Milano: «Sono partito dal Vigentino per descrivere una periferia industriale abbandonata e senza storia che attraverso la fotografia acquistava dignità estetica». I suoi riferimenti sono Bernd e Hilla Becher, promotori della scuola di Dusseldorf, con le loro immagini in bianco e nero di manufatti e archeologia industriale. Così comincia a girare le periferie in motorino e a lavorare sullo spazio. Ma non mancano le incursioni nel tremendamente umano, come la Festa al Parco Lambro o un libro sui dancing: «I nuovi templi del ballo, in stile Las Vegas, che fiorirono tra Piacenza e Rimini sul finire degli Anni Settanta».
(...)



Lavorava per dare dignità ai luoghi che non l'avevano di Marco Vallora

 
 
 
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