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Equilibrio di rapporti: questa è la qualità dell'architettura

 
Questa intervista è stata pubblicata sul Focus N° 10 di novembre 2008
 
 

In un'intervista, riferendosi al suo lavoro, lei ha dichiarato: "io penso che il massimo della qualità [di una illustrazione] coincide con il massimo della libertà". Crede lo stesso principio possa essere valido anche in architettura?

Non vorrei essere frainteso: la libertà assoluta, per un illustratore come per un architetto, è una stupidaggine. Nel caso dell'intervista mi riferivo al rapporto col committente e volevo dire che il committente migliore è quello che sceglie con cura il suo interlocutore e poi lo lascia (anzi lo sollecita a) lavorare con il massimo della libertà, beninteso all'interno dei vincoli di progetto. Questo da un lato. Dall'altro, sia il lavoro di illustratore che quello di architetto si pongono come contributi personali ad un processo che vede la partecipazione di altre figure in ordine al raggiungimento di un obiettivo, quindi il livello di libertà praticabile è definito anche dalla struttura delle relazioni all'interno del gruppo in cui si opera. In ogni caso sono convinto che il grado di qualità ottenibile da un professionista è proporzionale al grado di libertà con cui egli può mettere in atto la sua "poetica".
 
 

Dal suo personale osservatorio, artista formatosi con studi di architettura, come definisce la qualità architettonica?

La domanda è solo apparentemente semplice. La risposta sarà banale, altrimenti sarei costretto a rimettermi a studiare. C'è una cosa che soprattutto mi commuove in una architettura ed è la "proporzione". Un modo di relazionarsi degli elementi di un edificio, o anche di un oggetto, che, per me, ne definisce immediatamente la qualità. Per intenderci, andate a fare in giretto nei dintorni di Treviso, confrontate una casa rurale costruita agli inizi del secolo scorso e una villa costruita alla fine, sono sicuro che non occorre dire altro. (Non è un discorso in difesa del passato, solo è il primo esempio che mi viene in mente di qualità architettonica straordinaria ottenuta con quasi nulla.)

 
 

Lei ha più volte spiegato che disegna separatamente gli elementi di un'illustrazione per poi ricomporli al computer introducendo un elemento di disturbo; il computer è dunque un elemento che utilizza come strumento per supportare la sua creatività. Ritiene che lo stesso principio valga anche nella progettazione architettonica?

I templi greci sono costruiti in pietra, ma il loro aspetto è quello delle costruzioni in legno: sono edifici nati a cavallo tra due tecnologie. Anche adesso siamo in un periodo di transizione. E si vede. Ve lo immaginate Gehry realizzare le sue idee disponendo solo di un tecnigrafo? Nel caso dei greci si trattava di tecnologie costruttive, ora si tratta di strumenti a supporto della progettazione. Le tecnologie costruttive disponibili rallentano un po' lo sviluppo dell'uso dei computer in architettura, limitandone l'impiego quasi esclusivamente alla fase progettuale. Nel campo del design la presenza del computer è più diffusa nell'intero processo produttivo.
Per restare al mio lavoro il computer è ormai imprescindibile nella grafica, nella tipografia, nell'illustrazione, nella fotografia e, vivaddio, anche nel trasferimento dei dati a livello mondiale.
In ogni caso resta uno strumento e il suo uso "creativo" è interamente nelle "mani" di chi lo impiega.
 
 

Dovendo dedicare una suo lavoro all'architettura contemporanea quali elementi inserirebbe?

Io lavoro sugli archetipi, come se dovessi impiegare parole che tutti possono capire. Così sono molto in imbarazzo anche solo a disegnare un telefono, perché quella che era l'icona universale del telefono non ha più corrispondenza con la realtà. Anche quando disegno case o grattacieli o fabbriche disegno quello che disegnerebbe un bambino, ma fino a quando sarà possibile? Le fabbriche (e le ciminiere) sono già un lontano ricordo...
Ma se mi si chiede qual è l'edificio più "importante" degli ultimi anni, credo di dover rispondere che è il Guggenheim di Gehry. Penso che tutti gli architetti siano costretti a confrontarsi con questa realizzazione. Non sto dicendo che sia "giusta", anzi in altra occasione l'ho accostata al palazzo di Ceausescu per poter dire che l'esibizione di potere guasta, ai miei occhi, anche edifici bellissimi. Ma credo non si possa negare che si tratti di una "meraviglia". E credo anche che da una parte "libererà" tanti progettisti e dall'altra provocherà un sacco di guasti.
Se posso citare qualche altro nome senza spiegare perché allora dico Samuel Mockbee (Rural Studio) e Aleksandr Brodskij.
 
 

I suoi disegni esprimono sempre una frase, una narrazione, un'opinione. Crede che l'architettura oggi sia ancora in grado di comunicare qualcosa a chi la abita o la fruisce?

Ogni cosa comunica, sempre. Il problema resta quello, per certi versi drammatico e per altri divertente, del fraintendimento. Una cosa sono le intenzioni e un'altra i risultati. Quando poi non ci si mette il deliberato inganno. Parlo delle parole, parlo dei disegni e parlo dell'architettura.
Certo chi parla, chi disegna, chi progetta esprime un'idea del mondo. Chi abita ascolta? Chi si mette un vestito lo ascolta? O vuol dire qualcosa attraverso di esso? E che cosa? 
 
 

Oggi l'architettura è sempre più disegnata: ai committenti piuttosto che nei concorsi, sulle riviste, nelle mostre o sui siti internet. Cosa le suggerisce questa condizione della professione contemporanea che spesso è sempre meno costruita e sempre più illustrata?

Forse è una fortuna. Forse invece che costruire bisognerebbe decostruire un po'. Forse si potrebbe immaginare un territorio un po' meno ingombro. Quando sfoglio una rivista di arredamento, alla fine ho la nausea: migliaia di prodotti in milioni di varianti. Quando sfoglio una rivista di architettura è quasi la stessa cosa... E ad esser sincero anche quando sfoglio una rivista di illustrazione o di grafica. Solo che le illustrazioni non si materializzano. Gli oggetti e le case sì.
E quando vado in giro non vedo tutta questa bellezza. Forse un po' di "virtualizzazione" non fa male.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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